AFFIDAMENTO FONDI2024-02-28T08:41:34+01:00

Gestione Fondi e Frutteti

Aggiungi il tuo fondo,  Castagneto, Uliveto o frutteto al fascicolo aziendale della Velinia per cogliere le opportunità di migliorarne la produzione.

La Velinia ed i proprietari dei fondi produttivi possono insieme creare una sinergia gestendo le risorse arboree e sfruttando le opportunità che vengono offerte. Il proprietario può continuare a condurre il fondo come in passato raccogliendo il prodotto nel mentre la cooperativa può intervenire su quel fondo progettando con i finanziamenti dei piani di sviluppo rurale più convenienti ed adatti.

Per poter fare questo la Cooperativa ed il proprietario del fondo debbono stipulare un contratto in una delle tipologie che qui vengono proposte ed adattate per realizzare le pratiche che consentono di raggiungere i risultati prefissi e rilanciare nel tempo la produttività del territorio

Per maggiori informazioni e dettagli puoi chiamare il cellulare di servizio 391 45 17 778 oppure inoltrare la tua richiesta ai seguenti contatti in cooperativa che per questo argomento sono:

E-mail: info@coopvelinia.it

E-mail: presidente@coopvelinia.it

E-mail: boschi@coopvelinia.it

per maggiori informazioni contattaci.

Scarica il modello contrattuale per l’affitto di fondi:
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Scarica il disciplinare della conduzione dei terreni gestiti dalla Velinia:
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Locandina pubblicata anche su: Corriere della Sera e Leggo

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Tabella Castagneti in Gestione al 31/12/2022

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DATI DI GESTIONE DEI CASTAGNETI 2022

Il contrasto all’abbandono dei boschi è lo scopo della gestione diretta della Velinia

La Cooperativa Velinia non ha uno scopo sociale limitato alla castanicoltura, ma è un fatto che si è principalmente occupata di questo e quindi è, di fatto, uno degli elementi di settore che è moralmente chiamato a fare la sua parte per contrastare l’attuale tendenza alla “MORIA DEL BOSCO”. Questa moria riguarda soprattutto il bosco del castagno che rappresenta anche, nel panorama varietale boschivo, il principale strumento di recupero del degrado ambientale.

Il recupero dei castagneti abbandonati ha infatti non solo un valore economico, ma anche un’alta cifra ambientale e turistico paesaggistica, cui la Cooperativa vuole concorrere prendendo in gestione diretta castagneti, uliveti e frutteti che i proprietari non conducono più. . Allo scopo forniamo un breve quadro informativo sul degrado castanicolo.

Il castagno (Castanea sativa Mill.) è sopravvissuto alle ultime glaciazioni in diverse zone rifugio della penisola italiana, in particolare lungo il versante tirrenico degli Appennini, dalla Campania fino verso le Alpi Ligure.

Le prime prove scritte di una coltivazione dei castagneti l’abbiamo in Anatolia, attuale turchia che ora recupera celermente la coltivazione, probabilmente soprattutto in forma di cedui per la produzione di paleria, legname da costruzione e carbone.

I greci hanno quindi portato in Italia le tecniche di castanicoltura, sia da legno che da frutto.

Il contributo decisivo alla diffusione e alla coltivazione del castagno fu opera degli antichi Romani all’inizio dell’era cristiana

Nel Medioevo i castagneti da frutto diventarono i grandi protagonisti del paesaggio italico rappresentando la quasi unica possibilità di sopravvivenza nelle aree montane, per la loro capacità di fornire cibo, materiale da costruzione e calore (Pontecorvo 1932, Tabet 1936).

All’inizio furono principalmente gli Ordini Monastici a preservare e a diffondere il castagno, considerato albero fruttifero per eccellenza per gli ambienti montani.

La coltivazione dei castagneti raggiunse la massima espansione intorno alla metà del 1800. In questo periodo la coltivazione del castagno diventò tanto da indurre a parlare di “civiltà del castagno” e di “albero del pane” (Gabrielli 1994, Arnaud et al. 1997).

Il declino del “sistema castagno” è poi avvenuto drasticamente dopo la Seconda guerra mondiale a causa di molteplici fattori, economici, sociali e fitosanitari:

  • industrializzazione;
  • cambiamento nello stile di vita;
  • sostituzione di alcuni processi di produzione;
  • incidenza delle fitopatologie, quali mal dell’inchiostro (Phytophtora cambivora) e cancro corticale (Cryphonectria parasitica)

L’ultimo ventennio del 1900 ha rappresentato una fase di stagnazione per la castanicoltura, con un ulteriore e progressivo decremento sia della superficie castanicola finalizzata alla produzione di frutto, sia del numero di aziende agricole con castagneti (Corona e Castellotti 2017). Paradossalmente ha però fornito, da un punto di vista socioculturale, le premesse per un recupero dell’interesse alla coltivazione e alla millenaria cultura legata alla specie. Ciò per effetto di:

  • maggiore consapevolezza ecologica;
  • stili di vita alternativi e rispettosi per l’ambiente;
  • rivalutazione degli usi e delle tradizioni della montagna;
  • interesse per le aree marginali e i prodotti tipici.

La castanicoltura è una voce minoritaria dell’economia rurale italiana, ma costituisce comunque una realtà significativa dal punto di vista produttivo, storico-culturale, paesaggistico-ambientale e turistico e rappresenta una voce di rilievo nell’indotto economico di molte realtà territoriali altrimenti destinate alla marginalità.

Il recupero dei castagneti da frutto in abbandono riveste notevole interesse, trattandosi di una coltura di pregio con molteplici funzioni in ambito ambientale, paesaggistico ed economico.

A livello nazionale la superficie a castagneti da frutto è passata dai 145.000 ettari del 1970 ai 52.000 ettari del 201. Quindi il fenomeno dell’abbandono si è già ampiamente consolidato, dal punto di vista vegetazionale, con l’affermazione di specie climax e ciò prelude all’affermazione di specie forestali competitive e di polloni su piante da frutto deperienti.

Sulle aree in cui l’abbandono colturale ha già determinato la transizione a bosco misto, stimate in oltre 100.000 ettari su scala nazionale, si può quindi affermare che tale cifra di territorio è sull’orlo della irrecuperabilità varietale.

Il Lazio occupa la quinta posizione per superficie investita a castagno da frutto, che risulta essere pari a 5.700 ha e circa il 7,5% della superficie castanicola nazionale (Cristofori, 2017). I castagneti sono ripartiti in oltre 6.000 aziende, caratterizzate da una superficie media aziendale di 0,9 ha. Analizzando più nel dettaglio la castanicoltura regionale si distinguono alcune aree.

La prima area castanicola per ordine di importanza è quella dei monti Cimini, in provincia di Viterbo, sviluppata principalmente nei comuni di Canepina, Soriano nel Cimino e Vallerano. Il 90% degli impianti è rappresentato dalla castagna e dal marrone “viterbesi”.

Una terza cultivar, il Marrone Primaticcio”, (sinonimo “Premutico”, o “    Pelusiello”), è tradizionalmente coltivata per qualità e precocità di maturazione, (Piazza et al., 2003).

Nel viterbese sono stati recentemente realizzati anche nuovi impianti di “Bouche di Betizac”, che oltre alla resistenza a cinipide, evidenzia interessanti proiezioni mercantili legate alla sua precocità di maturazione delle castagne.

La seconda realtà laziale per ordine di importanza, soprattutto per le economie locali, è quella romana dei monti Prenestini, interessando prevalentemente i comuni di Cave, Capranica Prenestina, Segni e Carpineto, e più a nord Rocca di Papa. E’ tipica anche la “mosciarella di Capranica Prenestina. Degno di nota per questo territorio è anche il “Marrone Segnino”.

Nella provincia romana merita menzione anche la castanicoltura dei monti della Tolfa, che interessa una superficie censita di circa 3.000 ha nei comuni di Tolfa e Allumiere, (la tipologia marrone è localmente denominata “Gentile”).

Nel reatino la castanicoltura si sviluppa principalmente nei comuni montani di Amatrice, Accumuli, Antrodoco, Borgo velino, Micigliano e Castel Sant’Angelo e poi anche nella zona dei monti del Cicolano. Nella Valle del Velino si distinguono tipologie varietali riconducibili al marrone fiorentino o “Casentinese” (selezione dei Monaci di Vallombrosa esportata nei possedimenti Curiali dopo l’anno Mille), con denominazioni locali come “Marrone di  Borgovelino” poi commercialmente detto “di Antrodoco”. Nella Valle del Salto Cigolano emerge la tipologia di castagna come la “Castagna Rossa del Cigolano”. Un tentativo di protezione IGP confondendo tutta la variegata produzione della provincia in una unica denominazione, non è stata accolta dalle autorità europee. Piuttosto è in atto nel cigolano una attività di innesto di marroni sul più robusto porta-innesto della “castagna Rossa”.

Meritevole di menzione è anche la castanicoltura del frusinate, concentrata nei comuni di Fiuggi e Pratica, dove l’ecotipo prevalente è denominato “Camisella”, e di Terelle, dove si coltivano ecotipi locali da caldarroste, come la “Pizutella” e la  “Pelusella”. Le tipologie varietali di zona sono molto apprezzate per l’elevato sapore ed in quanto pelano facilmente. Si tratta anche in questo caso di una castanicoltura legata ancora alle tradizioni di una volta, prevalentemente destinata ad autoconsumo e alla vendita locale.

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